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PAURA, IMMUNITÀ, RISATA: DAGLI ANTICHI UNA LEZIONE DI VITA.

PAURA, IMMUNITÀ, RISATA: DAGLI ANTICHI UNA LEZIONE DI VITA.

PAURA, IMMUNITÀ, RISATA: DAGLI ANTICHI UNA LEZIONE DI VITA.

La sola cosa che dobbiamo temere è la paura stessa” (Franklin Delano Roosevelt)

L’umanità si è sempre confrontata con pestilenze e malanni d’ogni sorta.

La peste di Atene, durante la guerra del Pelloponneso, fu la prima guerra batteriologica conosciuta.

Pare che gli Spartani, fetentoni, avessero avvelenato i pozzi della città.

Ricordiamo la peste nera del 1300, ( cui anche Dante accennò) con una Firenze spopolata ed alla disperazione che -convinta che il contagio fosse opera dei cani e dei gatti- li sterminò (spianando la via ai topi, che invece erano i veri untori). Cattiva politica zooprofilattica.

Chi non ha mai letto, poi, le storie manzoniane sul contagio di Milano?

La peste bubbonica fu portata nel 1630 dai lanzichenecchi, i famosi archibugieri austriaci che, chiamati da Venezia per la solita guerricciola, lasciarono il nord alla mercé del contagio e fornirono al nostro romanziere il pretesto per scrivere pagine tra le più belle della letteratura italiana.

Grandi epidemie furono poi quelle di tubercolosi nell’800, malattia molto romantica e bohemienne e poi la famosa Influenza Spagnola del 1918 (recenti studi hanno insinuato il dubbio che questa sia stata causata da uno specifico vaccino inoculato ai reduci della Grande Guerra).

In tutti questi casi, sebbene la popolazione fosse decimata, molti si salvarono: perché?

In effetti verrebbe da pensare che malattie così gravi, rapide a diffondersi in tempi privi di risposte efficaci, avrebbero dovuto letteralmente azzerare la popolazione, almeno laddove si addensava maggiormente, come nelle città.

Il fatto è che il sistema immunitario umano, qualora sia in perfetta efficienza, è in grado di affrontare e sconfiggere qualsiasi patologia.

Lo dimostra chiaramente una figura di “lavoratore della peste” raccontata appunto dal Manzoni, il monatto, che prelevava i morti dalle case per portarli al cimitero. Erano, costoro, persone che avevano contratto la peste e l’avevano sconfitta, rimanendone immuni.

Il sistema immunitario, dunque, può sconfiggere la peste!

Ma se è la funzionalità del sistema immunitario a garantirci la vera salute, dobbiamo fare attenzione a tenerlo in forma !

Però, attenzione!

Non bastano le vitamine, gli antiossidanti, la buona dieta.

Il fattore emotivo /mentale è determinante a questo scopo! 

Così come le nostre credenze.

Infatti il sistema immunitario (collocato per lo più nell’intestino) dialoga continuamente e strettamente con il cervello enterico (quei numerosi neuroni che abbiamo appunto nell’intestino).

In quel dialogo c’è la salute o l’inizio della malattia.

Il quel dialogo, i nostri pensieri-emozioni-credenze dettano il comportamento al sistema immunitario che si adegua, migliorando o peggiorando la sua risposta agli agenti nocivi.

Molti autori si sono soffermati sulle credenze collettive su malattie specifiche, nelle varie epoche, e come la paura (in genere dell’ignoto) incrementasse questa o quella malattia e di conseguenza le morti.

E’ il caso della tubercolosi.

Ammantata di mistero sulla sua origine, colpì centinaia di migliaia di europei per tutto il XIX secolo. Quando, nel 1882 Robert Koch ne scoprì la causa (un batterio), le morti precipitarono di numero fin quasi ad azzerarsi (senza profilassi!) .

In quel mistero c’era una paura anonima, quindi terrorizzante; una volta che la scienza illuminò il fenomeno, la malattia quasi si dissolse.

Oggi è abbastanza comune scoprirsi portatori sani del bacillo di Koch.

Chissà perché queste nozioni basilari di PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia) non vengono quasi mai spiegate dai medici.

Forse che ne sono all’oscuro? Può darsi.

Infatti, sebbene gli antichi non avessero idea della PNEI, avevano ben capito che la gioia e la risata (ed il sesso) erano ottime armi per la vitalità ed il benessere.

In molte parti del nord Europa è documentata questa usanza: quando si aveva il sentore di una pestilenza in arrivo, si precettavano due giovani, un ragazzo ed una ragazza, scelti tra i più belli; li si faceva spogliare completamente: alla guida di un aratro dovevano scavare un solco simbolico attorno al villaggio e nel mentre dovevano ridere continuamente!

Il simbolismo è chiaro: opporre all’orrore una risata vitalistica.

Lo aveva ben compreso il Boccaccio che, davanti alla peste sopra ricordata, fece rinchiudere dame e cavalieri in un posto sicuro a raccontarsi novelle licenziose e ridanciane (e chissà, a fare un po’ di sesso lontano dalle norme sociali asfissianti).

Del resto lo diceva il faraone Almansi ( 569 AC) per bocca di Erodoto: “ Così è la condizione dell’uomo, se volesse essere costantemente impegnato in cose serie e paure e non si lasciasse andare al sollievo ed allo scherzo, senza accorgersene diventerebbe pazzo o finirebbe con l’abrutirsi”.

 Il regno di questo faraone durò quarant’anni e fu tra i prosperi della storia dell’Egitto.