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GEA RIDENS – DICEMBRE 2022

GEA RIDENS – DICEMBRE 2022

GEA RIDENS – DICEMBRE 2022

BUONE FESTE

In questo numero:

DODICI DOMANDE… PER RIDERE ASSIEME

Dalla Redazione

Nelle riunioni di gabinetto, i ministri fanno gli stronzi?

Perché se Dio è immortale, perchè ha lasciato ben due testamenti?

Perché si chiama sala parto se ci sono solo nuovi arrivi?

Se offendi un parmigiano reggiano, ti trovi una grana?

Se la museruola si mette sul muso, dove si mette la cazzuola?

Lo stitico, quando muore, va in purgatorio?

Se Garibaldi è partito da Quarto, chi erano i tre che sono partiti prima di lui?

Sono le pecore di Murano che producono la lana di vetro?

Le tende da sole, soffrono la solitudine?

Nei film porno il protagonista ed il montatore sono la stessa persona?

Se il mio capo si droga, io sono un tossico dipendente?

Se son rose fioriranno…e se son cachi ?

LA COMUNITA’ CHE CURA (parte seconda di 3)

di Sonia Fioravanti

(…)

Si noti che un medico parla del paziente, non di un lui o una lei, non di Piero o Alessandra, nè di persone e solo raramente dei suoi malati ma sempre del paziente.

Il medico, fin dai primi anni di tirocinio, impara questo trucco psico-lessicale con cui da subito separa sé stesso dalla malattia e dalla morte: il paziente infatti è quello là, quella cosa là, cioè non-io. Altro da me, altro da noi, altro in tutto. Il più altro e lontano possibile.

Ascoltate il modo in cui dicono il paziente nei colloqui fra colleghi, nei talk-show sulla salute in televisione, o durante i congressi di medicina…insisto: ascoltate bene come lo dicono, come quelle due parole sospingono l’immensa complessità della persona malata a una distanza incolmabile da chi le pronuncia. Fino a quando i medici insisteranno nel vedere la malattia nei pazienti come una cosa dei pazienti, quella voragine di cui ho parlato non si colmerà mai.”

Paolo Barnard, Dall’altra parte, Bur edizioni,2006

La malattia: è inquadrata in categorie diagnostiche, figure “competenti” si spera che la conoscano, il malato no; la persona vive la malattia dentro di sé come qualcosa di estraneo, su cui non ha alcun potere, e alla cui risoluzione è costretto a delegare altri. 

Tutte le persone che fanno parte del mondo del malato ovviamente sono estromesse dai momenti della diagnosi e della prognosi di una malattia.

A loro vengono solo comunicati gli esiti, del resto, anche loro non sanno nulla di medicina.

Talvolta gli si chiede collaborazione, se necessario possono essere considerati come supporto nella cura. Ma le loro emozioni, i loro pensieri, non sono considerati risorse da attivare nel percorso di cura. La loro energia…tanto meno!

Il “paziente” e i suoi cari sono collocati in una posizione di totale passività rispetto alla malattia. Posti in una condizione di smarrimento di sé, di alienazione, al “malato” e ai parenti non resta che o collaborare con i medici, su loro richiesta e su loro autorizzazione.

Oltre il giardino?

Le società non appartenenti al mondo occidentale, (Africa, America Latina ecc.) e tutte quelle che fanno uso di metodi terapeutici alternativi alla medicina occidentale vengono definite “tradizionali”

(Seppilli, Antropologia culturale e strategie sanitarie, La casa Usher,1984.)

In queste società la malattia è sempre considerata un segno da interpretare, un messaggio prezioso e significativo per la vita di un individuo. E -in relazione al tipo di cultura- si hanno diverse interpretazioni: la malattia può essere un aggressione da parte di spiriti malvagi, oppure  la conseguenza dell’infrazione di un tabù, del mancato rispetto di una regola…qualunque sia la causa, la malattia è sempre considerata un evento che riguarda tutta la collettività; sul  corpo della persona che sta male si “significa” il suo gruppo di riferimento più stretto e quello sociale più vasto, che interpretano la malattia come uno squilibrio con la natura, o con gli spiriti, o come un indicatore di tensione fra i membri del gruppo… quello che interessa ai nostri fini è che la malattia non ha valenza negativa, non riguarda mai solo il corpo, né la sola persona che ne è affetta.

La persona malata non viene mai decontestualizzata, anzi, è proprio il contesto a divenire strumento di cura.

L’essere umano in nessun istante della sua vita è solo…il concetto stesso di solitudine nasce da una concezione materialistica della vita, che considera il corpo circondato da spazio vuoto.

Le ricerche più recenti in fisica quantistica e in biologia  ci dicono invece che l’umanità non è un insieme di singoli individui, ma una forma di “Coscienza Collettiva” a cui ogni individuo è collegato e da cui ogni individuo attinge informazioni: il DNA è lo strumento attraverso cui si realizza l’ipercomunicazione, cioè la comunicazione a distanza tra le coscienze dei singoli individui. E poiché ogni nostra cellula contiene una molecola di DNA , possiamo immaginare la nostra rete internet costituita da un numero infinito di antenne che continuamente emettono e ricevono messaggi.

La Gioia, questa sconosciuta (?)

di Leonardo Spina

Seduto al tavolo di un bar del centro, osservo l’umanità (italiana) che mi passa accanto.

Molti anziani; alcuni ricurvi come rami di salice piangente; qualcuno zoppica; alcuni ancora con la mascherina; una ragazza fuma nervosa; un uomo serio e veloce; donne con la protesi/smartphone in azione, alzano la voce; moltissimi calvi; un gruppetto di giovani anch’essi smartphonizzati.

E’ passata quasi un’ora e non ho visto un sorriso.

Che succede alla nostra società?

Il sociologo americano Michael Titze, già alla metà degli anni ‘90 lanciava un allarme, rilevando come, negli anni ’50, seppure in piena guerra fredda, negli USA si ridevano almeno diciotto minuti al giorno. Nel 1990 la media era scesa a sei. Oggi, probabilmente, il tempo del riso giornaliero è sotto zero.

Non è normale, non è umano.

E tu che mi leggi, sorridi? Ridi?

Cerca di rispondere onestamente a queste domande, facci caso: è importante!

La sera, prima di addormentarti, invece di pensare ai guai che ti aspettano domani, prova a domandarti se, oggi, hai trovato il modo di sorridere, a chi e perché.

Se hai trovato il modo di ridere, con chi e perché.

Addirittura, prova ad annotare brevemente queste cose: in questo modo dai valore a quest’auto-osservazione!

Nel fine settimana, poi, prova a domandarti se ti è capitato di gioire, di essere talmente soddisfatto di qualcosa da aver provato gioia e piacere, durante i sette giorni.

Se per un mese intero ti rispondi per lo più negativamente, devi correre ai ripari perché l’intristimento è l’anticamera del disagio.

Cosa fare? Semplice: procurati momenti di gioia, piacere, ilarità.

Non puoi andare ad uno spettacolo comico? Vai a fare un laboratorio creativo o divertente! Non puoi, non hai tempo? Allora guarda un film del tuo comico preferito, o spezzoni da You Tube. Ti piace il verde? Fatti una passeggiata nel bosco. Vuoi una compagnia amorevole e disinteressata? Cerca un gattino o un cane.

E se accanto a te hai una persona amata, condividi con lei momenti di piacere e gioia. Soprattutto se stai con lei/lui da tanti anni, e l’abitudine sembra aver soffocato quel che c’era…perdonati e perdonalo, avete sempre fatto del vostro meglio e siete lì, insieme…

La gioia non è solo uno “stato d’animo”, ma anche una vibrazione energetica potente.

E corrisponde a quella della vita.

Il bosco ventoso, l’albero possente o il tuo cane che scodinzola vibrano permanentemente dell’energia della gioia, anzi sono Gioia e la trasmettono, ecco perché ti piace passeggiare nella natura piuttosto che giocare con il cane.

Tutte le emozioni che proviamo: paura, rabbia, sollievo, piacere… hanno un portato biochimico, concreto (ormoni, neurotrasmettitori) ed un portato “astratto” – il “come ci si sente”-, che rispecchia quello energetico, la sottile onda elettromagnetica che emaniamo nell’ambiente.

Una vibrazione come quella della gioia, così prorompente, inonda l’etere di esplosiva vitalità: si dice “ridere a crepapelle”, come se quell’onda ci squassasse, letteralmente.

Seduto a questo tavolino e volendo bene a tutti i passanti: anziani, storti, dritti, smartphonizzati, mascherati, calvi e cupi mi viene la poesia e scrivo:

Gioia è quando ti scoppia qualcosa dentro,

perché il corpo è un contenitore troppo limitato.

La gioia è quando il piacere si fonde alla bellezza

Perché sei dentro un’opera d’arte, la tua vita.

La gioia è quando ti senti forte,

Perché sei proprio sul tuo sentiero di vita.

La gioia è quando la Comunità è viva

perchè le anime si toccano ed essa ce lo ricorda.

La gioia è dentro la natura

Perché lì niente è disarmonico.

La gioia è quando l’amore messo è ripagato

Perché questo ci dice quanto sappiamo amare.

Notizie da La Terra del Sorriso 2.0

Continua il nostro lavoro di divulgazione e formazione.

9 dicembre ore 19 inizio di RISUS MAXIMUS 3.0 laboratorio di comicoterapia interattivo on line di Leonardo Spina (link a richiesta su                                info@laterradelsorriso.net)

10-11 dicembre, Roma, Sonia Fioravanti tiene il suo workshop

 “DALL’IPNOSI REGRESSIVA (VITE PRECEDENTI) ALL’IPNOSI MULTI-DIMENSIONALE” una ricerca utile e appassionante.

L’ipnosi alle vite precedenti è un territorio di confine, una porta di passaggio tra i diversi ologrammi dell’esistenza che un’Anima ha sperimentato (e sperimenta) per dar vita al suo compito.

 L’idea di un karma, inteso come legge causa – effetto che spinge l’essere umano verso apprendimenti necessari all’evoluzione dell’Anima, ha fatto sì -nella nostra cultura- che l’ipnosi alle vite precedenti venga richiesta prevalentemente come strumento per sciogliere blocchi nelle relazioni, comprenderne le dinamiche, compensare antiche azioni negative e compiti lasciati in sospeso.

Generalmente questo è il punto di partenza della ricerca, le persone chiedono di conoscere le proprie vite per capirsi meglio in quella presente e vivere liberi.

Info 3479001526 – info@laterradelsorriso.net

Ricorda il romanzo-verità di Leonardo Spina:

“COMICI SBALORDITI PIONIERI” Parlare di pace in tempo di guerra: se non lo hai già fatto, prenotalo!

Il racconto della vera storia della missione umanitaria in Afghanistan con i clown dottori nel 2002, in piena guerra. Ironia, passione ed emozione contraddistinguono la narrazione di un evento irripetibile che Berlusconi e i servizi segreti non volevano che accadesse.

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