GEA RIDENS – GENNAIO 2023
la lettera di notizie de La Terra del Sorriso
PER UN ANNO PIENO DI GIOIA
In questo numero:
DONNE E UOMINI (spoliticamente corretto)
Dalla Redazione
“Contro” di Lei
Differenza tra l’amante, la fidanzata e la moglie, dopo aver fatto l’amore.
Amante: “Caro sei grande!”
Fidanzata “Ti amo”
Moglie: “Beige…il soffitto lo farei beige…”
Io e mia moglie siamo stati felici per vent’anni.
Poi ci siamo incontrati.
Quando un uomo ti ruba una donna, la miglior vendetta è…lasciargliela.
“Contro” di Lui
Differenza tra un marito ed un fidanzato? 20 kg.
Perché le single sono snelle e le mogli tendono a ingrassare?
Perché le prime single tornano a casa, vanno a vedere cosa c’è nel frigo poi vanno a letto.
Le mogli tornano a casa, vanno a vedere cosa c’è nel letto e poi vanno al frigo.
Cosa hanno in comune un uomo ed uno spermatozoo?
Entrambi hanno una possibilità su un milione di diventare un essere umano.
LA COMUNITA’ CHE CURA (ultima parte)
di Sonia Fioravanti
(…) La cura
Abbiamo detto che nella medicina occidentale la cura si volge alla parte materiale dell’uomo, e pensiero emozione, spirito non sono presi in considerazione come elementi di guarigione.
Eppure, la validità dell’approccio olistico è ormai ampiamente dimostrata; una branca della medicina occidentale, la Psiconeuroendocrinoimmunologia, dimostra come il cervello reagisce agli stati emozionali, come attiva la comunicazione con tutti gli organi e come sistema nervoso, endocrino ed immunitario dialoghino tra loro.
Le emozioni -con la PNEI- rientrano a pieno titolo come fattori in grado di determinare stati di malattia, quando negative ed attivare percorsi di guarigione, quando positive.
L’epigenetica e la biologia molecolare dimostrano che i nostri pensieri positivi o negativi, in armonia con il subconscio, determinano ciò che siamo, il nostro corpo e tutti gli aspetti della nostra vita.
La fisica quantistica ci dice che le emozioni sono vibrazioni, campi elettromagnetici sottili, che si propagano nell’ambiente come un’onda.
Una nuova disciplina, la Gelotologia, da circa venti anni utilizza le emozioni positive per attivare le risorse di guarigione, mettendo in campo una metodologia di cura di tipo olistico, con dati e risultati sperimentali davvero interessanti.
Il concetto di comunità
Nelle società tradizionali la malattia è quindi un evento che coinvolge l’intera comunità, il segno di uno squilibrio che riguarda tutto il gruppo di appartenenza dell’individuo. Il sintomo, sia esso una malattia fisica o una crisi nervosa, è un messaggio da ascoltare e decifrare. La comunità si fa carico in prima persona della malattia, e stabilisce contesti di natura rituale nei quali canalizzare il linguaggio individuale del sintomo, ed interpretarlo attraverso codici e significanti condivisi.
Attraverso i colori, la musica, la festa, il ballo, la teatralizzazione, i membri della comunità intervengono direttamente sulle cause della malattia, e le risolvono, attraverso un intervento di alto simbolismo emozionale. Ecco un momento del culto Ndoep dei Wolof in Senegal, un culto femminile gestito da sacerdotesse e volto alla cura di malattie femminili:
“…il rituale si svolge in riunioni pubbliche che possono durare più giorni. Nella prima fase del rito le officianti invocano gli spiriti e accarezzano il corpo della paziente massaggiandolo. Si stabilisce un vivo contatto corporeo con la paziente, come se ella fosse la figlia-bambina e le officianti le madri, ed emozionale con i partecipanti. La seconda fase è caratterizzata da un rito di sepoltura simbolica, la malata viene coperta da un lenzuolo mentre intorno aumentano le grida, i suoni , la confusione…le officianti scuotono violentemente la malata, le tirano i capelli, le urlano di rivelare il nome dello spirito che la possiede…A questo punto la malata si identifica con lo spirito, si rialza ed inizia una danza di resurrezione che diventa sempre più intensa, incitata dai partecipanti …finalmente la posseduta crolla a terra sfinita, lo spirito ora è un alleato, e come tale rimarrà per tutta la vita.”
CLOWNTERAPIA: UN PO’ DI STORIA…con i puntini sulle “I”
Moltissime persone si sono emozionate davvero alla vista del film Patch Adams di Tom Shadyack con uno strepitoso Robin Williams nella parte del medico americano che -secondo Wikipedia e la vulgata internazionale- ha ideato la clownterapia.
Uscito nel 1999 romanzava la vita di Hunter Patch Adams il quale non ha mai visto di buon occhio la pellicola, che, in effetti stravolgeva alcuni fatti importanti della sua vita.
Adams è un personaggio molto importante poiché ha inserito nella sua pratica di vita e nelle sue opere il concetto di “curare la persona e non la malattia” idea sacrosanta che la medicina occidentale si guarda bene dal seguire.
Dice Patch, riferendosi a persone molto gravemente ammalate: “Se curiamo la persona vinciamo sempre, anche se alla fine la persona non ce la fa, abbiamo dato vita ai suoi giorni (e non solo giorni alla sua vita)”. Come non essere d’accordo? Eppure questa basilare lezione di umanizzazione delle cure è lontana dall’essere recepita.
Cosa c’entra questo con il clown? Semplice, dice Adams: io, medico, indosso i panni del pagliaccio per avere più facilità di incontro con le persone in difficoltà.
Niente di male, se non fosse che il vero clown dottore fa esattamente l’opposto: è un clown che si traveste da dottore per sdrammatizzarne la figura, il contesto ospedaliero, le cure, la paura della malattia.
In questo senso Patch non è affatto l’inventore della clownterapia, anzi a lui questa parola non piace proprio.
E in effetti la clownterapia è un solo una parte di una disciplina molto più completa che prende il nome dalla parola greca Ghelos (riso) e si chiama gelotologia e che è lo studio e l’utilizzo del ridere e delle emozioni positive nella prevenzione, terapia, riabilitazione, formazione.
Ma, se non è stato Adams ad inventare in clown dottore, chi è stato il primo ad andare in corsia con il naso rosso?
Potremmo dire che già all’inizio del secolo XX i clown del circo facevano delle puntate in ospedale…Potremmo dire che nella grande epidemia di poliomielite della metà del secolo, dei volontari ospedalieri (gli Shriners) indossarono i panni del clown; e possiamo certamente affermare che, nel 1986 Michael Christensen e Paul Binder, del Big Apple Circus, entrarono, da clown dottori, nella pediatria del Central Hospital a New York.
Nasceva così una metodologia di lavoro che poteva darsi il merito di essere terapeutica, come in seguito L’Istituto Homo Ridens, l’associazione Ridere per Vivere e la facoltà di psicologia della Sapienza di Roma avrebbero scientificamente dimostrato: ma questa è un’altra storia, di cui parleremo.
E Patch? E’ una grande anima, che ha, però, il torto di asserire che per operare nei contesti sanitari non sia necessario avere una formazione alle spalle. Errore grave, perché per mettere il naso (ancorché rosso) nel disagio bisogna avere una solida preparazione sia artistica che scientifica.
Nella copertina qui sotto: 1908 “clown filantropi” a Londra
Notizie da La Terra del Sorriso 2.0
Continua il nostro lavoro di divulgazione e formazione.
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